C'è un esagono magico, su nel Nord che bisogna vedere. E' una geometria impastata di storia, cultura, bellezza, tradizione. I vertici sono Cittadella, Castelfranco, Marostica, Bassano, Possagno e Asolo, bianca e leggera. Siamo nel profondo Veneto, a cavallo di tre province per lungo tempo ricche e sazie: Padova, Vicenza e Treviso. Una volta, in pieno Medioevo, erano tre comuni in lotta tra loro. Tre città armate che volevano dominare i vicini. Lungo i confini i podestà costruirono avamposti inattaccabili: le città murate. I padovani fortificarono Cittadella, quelli di Treviso Castelfranco, i vicentini Marostica. Attraverso queste teste di ponte, capolavori di architettura militare, piazzeforti, ma anche inni a una bellezza pratica e ruspante, si mantenne un equilibrio armato tra vicini, finché sulla scena non arrivò un uomo sanguinario, amante del male, del tormento e del dolore. Visitando le sei città murate tutto parla di lui, Ezzelino da Romano. Il tiranno che godeva delle sofferenze dei suoi nemici, delle loro urla di morte, dello strazio della carne. A Cittadella, appena varcata Porta Padova, si trova la lugubre massa della Malta, il carcere dove Ezzelino murava vivi i nemici. Nel bel mezzo del tredicesimo secolo pochi, nei comuni e nelle signorie lombarde, ignoravano cosa fosse la Malta. Dante, il sommo poeta, la cita nei canti dell’Inferno come un esempio di presenza diabolica in terra. La sua terzina, scolpita sul marmo, è ancora lì a provocare brividi, a rammentare stridor di denti. Ezzelino era nato nel 1194 a Romano, nel bel mezzo dell’Esagono, da una famiglia di grandi signori. Quando Federico II di Svevia riaccese la lotta mortale tra impero e papato e tra impero e comuni, il nobile Veneto subito si schierò con lui, facendosi ghibellino. Come il sovrano, Ezzelino era colto, intelligente, astuto; ma ben più spietato. Finchè il vento soffiò alle spalle dei fautori dell’impero universale, il dittatore conquistò città dopo città. Padova, Vicenza, Treviso, Trento furono presto sue. Le tenne in pugno con la minaccia delle armi e della tortura. Massacrò i nemici e occupò tutte le città murate che ancora oggi portano lugubri segni del suo passaggio. Come un satrapo dell’estremo oriente, come certi Sho-gun nipponici, godeva della disperazione altrui e aveva scelto la Malta come luogo per esercitare il proprio vizio. C'è chi giura che in certe notti senza luna, a Cittadella, si possano ancora cogliere antichi gemiti che salgono dalla fortezza. Con la sconfitta di Federico II a Parma, nel campo di Vittoria, tra Vicofertile e Valera, la fortuna del partito ghibellino finì. E con essa la fortuna di Ezzelino. Il tiranno, pian piano, andò perdendo il controllo delle città e delle roccaforti. Infine, ferito in battaglia a Soncino, nel Cremonese, si inflisse una morte atroce come quella dei suoi nemici. Rifiutò le cure, si strappò i bendaggi, scarnificò le ferite fino a rimanere dissanguato tra mille tormenti. Pian piano, Cittadella, Castelfranco, Marostica e le altre murate, dopo essere passate da un signore all’altro, dopo essere state contese da Scaligeri e Carraresi, finirono nelle mani della Serenissima Repubblica di Venezia. E’ per questo che oggi passeggiando in piena terraferma si odora profumo di mare e si ammirano forme d’oriente.
C'è un posto nel mondo dove l'imam, il prete ortodosso e il rabbino, si incontrano e dialogano; dove le grandi religioni monoteiste, islam, cristianesimo e ebraismo, si incrociano senza generare conflitti. Questo posto è la il Tatarstan, la Terra dei tartari, e si trova nel cuore della Russia più profonda, adagiato lungo le sponde della «grande madre Volga», il fiume dei fiumi.
I tartari, guerrieri mongoli sulle cui spade Gengis Khan ha costruito il proprio impero, sono arrivati qui nel tredicesimo secolo, hanno importato la religione di Maometto e hanno fondato un grande stato, l'«Orda d'oro», che in pochi anni si è frantumato in cento briciole. La città simbolo dell'«Orda d'oro» è la mitica Kazan, che nel 2005 festeggerà i mille anni di vita. Per molto tempo, Kazan è stata la bella addormentata sul Volga, ma ora, in occasione del grande giubileo, vuole rivelarsi al mondo in tutta la sua bellezza, che è quella tipica di tutte le città di frontiera, dei centri che hanno saputo essere crocevia di razze e di storia. Multietnica, colta, elegante, un vero crogiolo di stili achitettonici e di tendenze artistiche. E, soprattutto, un faro per chi vuole fare della tolleranza religiosa un punto di approdo. E' un risultato, quello della convivenza tra le fedi, conquistato attraverso il sangue e il dolore, un risultato imposto dalle dure lezioni della storia, che hanno dimostrato come le violenze e i soprusi non pagano i popoli. E di violenze e soprusi Kazan, nella sua vita millenaria, ne ha vissute di tremendi. A cominciare da quando Ivan il Terribile, lungo il percorso di trasformazione del granducato di Mosca in impero russo, iniziò la conquista dei territori Tartari. Nel 1552, dopo un lungo assedio, la musulmana Kazan cadde nelle mani delle truppe cristiane di Mosca. Il sangue corse a fiumi, la maggior parte della popolazione fu sterminata: l'etnia tartara si salvò perché Ivan, per conquistare la città, si servì di migliaia di guerrieri rinnegati di discendenza mongola. Per secoli musulmani e ortodossi si scontrarono senza risparmio di violenze di ogni genere, fino a che lungo il Volga arrivò la grande livella: il comunismo. A partire dal 1929, moschee, chiese, conventi e sinagoghe furono chiuse e trasformate in magazzini, circoli ricreativi, stalle. La pratica religiosa proibita, i sacerdoti di tutte le fedi perseguitati: regnava l'ordine di Josif Visarionovic Dzugasvili, in arte Stalin. Una forma di ordine che non prevedeva né fede né pietà. |
Luigi AlfieriGiornalista. Scrittore. Giramondo. Categories
All
Archives
November 2013
|